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Atti del 1° Seminario Europeo "Falcon One" sulla Criminalità Organizzata Roma,
26 - 27 - 28 aprile 1995
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1. I fatti di strage

1.1 Nel centro di Firenze, tra le ore 1.02 e le ore 1.04 del 27.5.1993, si verificava una violentissima esplosione con epicentro in via dei Georgofili angolo via Lambertesca.
L'esplosione cagionava il crollo di un'ala della Torre del Pulci ove ha sede l'Accademia dei Georgofili, con la sovrastante abitazione del custode che decedeva con la moglie e due giovani figlie.
Altre numerose persone (36) riportavano lesioni a seguito della deflagrazione e dei devastanti effetti prodotti dalla stessa.
I vicini palazzi storici venivano sventrati e nell'incendio del palazzo ubicato in via Lambertesca n. 3, antistante la Torre del Pulci, decedeva uno studente che lì abitava.
Gli effetti della deflagrazione, devastanti per l'elevato numero delle vittime, risultavano gravissimi anche per gli enormi danni materiali agli edifici monumentali, artistici e storici ed alle opere d'arte.
E infatti:
- risultava totalmente distrutta la Torre del Pulci sede dell'Accademia dei Georgofili e gravemente danneggiati la Galleria degli Uffizi, Palazzo Vecchio, la Chiesa di Santo Stefano e Cecilia al Ponte Vecchio, il museo di Storia della Scienza e della Tecnica;
- venivano perdute le seguenti opere:
· presso la Galleria degli Uffizi: Gherardo delle Notti - "Adorazione dei pastori"; Manfredi - "Giocatori di carte"; Manfredi - "Concerto";
· presso l'Accademia dei Gergofili: Bimbi - "Aquila"; Scacciati - "Avvoltoi, gufi e beccaccia"; Grant (stampa raff.) - "Scena di caccia"; Landseer (stampa raff.) - "Grande cervo in una palude";
- venivano gravemente danneggiate le seguenti opere:
· presso la Galleria degli Uffizi: Van der Weyden - "Deposizione nel Sepolcro"; Sebastiano del Piombo - "Morte di Adone"; Cristofano dell'Altissimo - "Ritratto di Giovanni della Casa"; Gregorio Pagani - "Priamo e Tisbe"; Rubens - "Enrico IV alla battaglia d'Ivry"; Rubens - "Ritratto di Filippo IV di Spagna"; C. Lorrain - "Porto con Villa Medici"; Bernini - "Testa di angiolo"; Gherardo delle Notti - "Adorazione del Bambino"; Gherardo delle Notti - "La buona ventura"; Gherardo delle Notti - "Cena con suonatori di liuto"; Manfredi - "Tributo a Cesare"; Manfredi - "Disputa con i Dottori"; F. Rustici - "Morte di Lucrezia"; A. Gentileschi - "Giuditta e Olofene"; A. Gentileschi - "Santa Caterina"; G. Reni - "David con la testa di Golia"; B. Strozzi - "Parabola del Convitato a Nozze"; Empoli - "Natura Morta"; Empoli - "Natura Morta"; Manetti - "Massinissa e Sofonisba"; G. B. Spinelli - "David festeggiato dalle fanciulle"; G. B. Spinelli - "David placa l'ira di Saul"; N. Reiner - "Scena di Gioco"; Scuola caravaggesca - "Incredulità di San Tommaso"; Valentin - "Giocatori di Dadi"; Scuola caravaggesca - "Liberazione di S. Pietro"; Borgognoni - "Battaglia di Radicofani"; M: Caffi - "Fiori"; M. Caffi - "Fiori"; Gherardo delle Notti - "Cena con sponsali";
· presso l'Accademia dei Georgofili: Bimbi - "Pellicano"; "Fiori" (nr. 2 - inv. castello 576 e 578);
- venivano variamente danneggiate le seguenti opere:
· presso la Galleria degli Uffizi: Bronzino - "Ritratto di donna"; Van Douven - "Glorificazione degli Elettori Palatini"; Scuola A. Gaddi - "Trittico: Madonna e Santi"; Maso da San Friano - "La caduta di Icaro"; Giovanni da San Giovanni - "Madonna col Bambino e San Francesco"; R. Van der Weyden - "Deposizione"; Pontormo - "Madonna col Bambino"; Garofalo - "Madonna e Santi"; Vasari-"Ritratto del Duca Alessandro"; Raffaellino del Garbo - "Madonna col Bambino"; Puccinelli -"Madonna col Bambino"; A. Micheli - "Santa Caterina"; Scuola caravaggesca - "Doppio ritratto"; ignoto - "Bambino giacente"; ignoto - "San Giovanni Evangelista"; Scuola romana - "Ritratto di Porzia De' Rossi; Fra' Bartolomeo - "Porzia"; Velasquez - "Dama a cavallo"; Scuola del Pollaiolo - "La giustizia"; Tiziano - "Ultima Cena"; Scuola sec. XV - "Vergine col Bambino; A. Cecchi - "Autoritratto"; V: Campanello - "Autoritratto"; C. Baba - "Autoritratto"; M. De Matchva - "Autoritratto"; Farulli - "Autoritratto";
· presso l'Istituto e Museo della Storia e della Scienza: "Vaso cilindrico dell'Accademia del Cimento", sec. XVII, alt. cm 27, diam. cm 9, vetro (catal. IX, 66), incrinato il piatto del vaso - danno non sanabile - indebolimento dell'oggetto irreparabile; "vassoio", sec. XVII, vetro, diam. cm 46 circa (catal. IX, 85), incrinato - irreparabile; "Telescopio riflettore", legno, di Leto Guidi, sec. XVIII (catal. XI.1), graffi sulla superficie del tubo - restaurabile; "Telescopio riflettore", legno, sec. XVII (catal. XI.2), graffi sulla superficie del tubo - restaurabile; "Sfera armillone Santucci", sec. XVI (catal. VII.30), armilla rotta - distacco della calotta polare - indebolimento struttura - danno sanabile con difficoltà;
- risultavano danneggiate le seguenti sculture:
· presso la Galleria degli Uffizi: arte ellenistica - "Niobide"; arte romana - "Testa di giovanetto"; copia di epoca romana del "Discobolo di Mirone".
Nelle fasi iniziali del sopralluogo, data l'ora notturna e l'enorme devastazione di tutto il complesso immobiliare ed urbanistico, non era possibile accertare la reale causa della deflagrazione; si appurava peraltro, alle prime luci dell'alba, la presenza di parti di lamiera e di un motore di un'autovettura rinvenuto tra i detriti; il ritrovamento lasciava fondatamente ritenere che l'esplosione fosse da attribuire ad un attentato realizzato con un'autobomba.
Nella prosecuzione dell'attività di sopralluogo, che progrediva con la rimozione delle macerie, si individuava a livello del piano stradale un cratere di tre metri di lunghezza e due metri di profondità: veniva così confermato che l'attentato era stato eseguito con l'impiego di esplosivo.
Si poteva anche accertare come l'orario esatto dell'esplosione fosse da collocare tra le 1.02 e le 1.04 del 27.5.1993, non potendosi conseguire (neppure successivamente) una più precisa collocazione temporale del fatto a causa di un momentaneo disservizio delle attrezzature in adozione all'Osservatorio Ximeniano di Firenze.
1.1.1 Nell'immediato prosieguo delle indagini si accertava che un motore rinvenuto tra i detriti, e del quale erano tuttora riconoscibili i numeri identificativi, apparteneva all'autofurgone FIAT Fiorino targato FI H90593 della ditta F.A.I.R e utilizzato da un suo dipendente che alle ore 9.25 del 27.5.1993 ne aveva denunciato il furto come avvenuto non prima delle ore 19.30 circa (ora in cui il veicolo era stato parcheggiato in via della Scala) del 26.5.1993.
Si poteva in seguito stabilire, con esattezza, in base a dichiarazioni testimoniali ed accertamenti tecnici, che il furto era stato operato tra le ore 19.30 e le ore 19.45.
A conferma delle dichiarazioni testimoniali è stato infatti possibile verificare - attraverso la consulenza di due esperti (i quali hanno realizzato ed elaborato un'analisi computerizzata delle immagini acquisite dalla telecamera posta a sorveglianza della caserma "Simoni" di via della Scala, ad una distanza di qualche centinaio di metri dal luogo del furto) - l'esattezza del ricordo del conducente del veicolo circa l'orario di arrivo e la successiva manovra di parcheggio.
Più esattamente, l'elaborazione delle immagini ha consentito di stabilire quanto segue: l'arrivo del Fiorino è localizzabile con certezza in quelle immagini con l'orario delle 19:27:41; già alle ore 19:29:52 le immagini, con elevata probabilità, non denunciano più la presenza del veicolo. In ogni caso, alle ore 19:35:50 il veicolo sicuramente non si trovava più nel luogo dove era stato parcheggiato.
1.1.2 Hanno confermato definitivamente l'ipotesi di un attentato con esplosivo commesso utilizzando un'autobomba gli accertamenti compiuti dai consulenti tecnici balistici, i quali hanno compiuto adeguate analisi chimico-esplosivistiche dei reperti e hanno sviluppato più generali valutazioni sugli aspetti dell'intero accaduto. Ed infatti:
a. con la relazione preliminare depositata in data 20.7.1993 i consulenti, all'esito degli accertamenti compiuti sui reperti raccolti, hanno riferito che le analisi per via cromatografica in fase liquida (HPLC) avevano fornito indicazioni di presenza per le specie esplosive di tritolo, T4 e pentrite, mentre veniva riservata ad ulteriori analisi la verifica circa la presenza di nitroglicerina, nitroglicol (EGDN) e dinitrotoluene (DNT).
Con riferimento, in particolare, alla presenza della specie esplosiva del tritolo (TNT), i consulenti hanno sottolineato, al di là ed a conferma del dato analitico, che "La scena dell'esplosione presentava, sia sui materiali del cratere che su talune facciate dei palazzi adiacenti (resti della "Torre del Pulci" sede dell'Accademia dei Georgofili e palazzo al numero 4 di via Lambertesca) alcune zone con intensi annerimenti, prodotti da depositi superficiali di materiale carbonioso in polvere finissima. Questi annerimenti intensi sono caratteristici dell'esplosione di cariche formate, almeno in parte, da tritolo, come sostanza esplodente a se stante, cioè non miscelata intimamente ad altri componenti esplosivi".
Circa, infine, la determinazione del quantitativo di esplosivo impiegato, i consulenti segnalavano: "appare evidente la minuta frammentazione dei resti del Fiat Fiorino (autobomba) che ha subito parziale rottura anche del blocco motore (nella testata e nel collo d'oca). In particolare, i residui della carrozzeria del Fiorino non superano, generalmente, i 10 centimetri di dimensione massima, anche se derivanti dalla parte anteriore dell'auto (cofano, motore, etc.), più lontana dalla carica. Ciò indica un peso di carica esplosa notevolmente elevato, superiore, ad esempio, a quello della carica esplosa sull'autobomba Fiat 126 in via D'Amelio (PA) nell'attentato al dr. Borsellino (valutato, da calcoli e prove di scoppio, sull'ordine dei 95-100 kg.); la frammentazione della 126 di via D'Amelio era, in media, assai meno minuta di quella del Fiorino."
b. con la seconda relazione preliminare depositata in data 27.7.1993, relativa alle indagini aventi ad oggetto i reperti raccolti dalla Polizia Scientifica, è stato riferito che, applicate le metodiche di indagine della gascromatografia/spettrofotometria di massa (GC/MS), si è avuta dimostrazione che la carica esplosiva era costituita almeno dalle seguenti specie esplosive: tritolo (TNT), pentrite (PNT) ed isomeri del dinitrotoluene (DNT).

c. con relazione depositata in data 20.8.1993 i consulenti hanno in particolare approfondito i profili del "peso di carica".
Parametri di riferimento sono quelli della c.d. "geometria dello scoppio", e quindi le dimensioni del "cratere" (di forma ellittica con diametri compresi tra i 2.900 ed i 4.430 mm. e con profondità massima di 1.410 mm.), l'altezza rispetto al suolo del piano di carico del Fiorino, la superficie del vano di carico, le caratteristiche dei materiali stratificati del suolo (lastricato, calcestruzzo, detriti di riporto in matrice sabbiosa, detriti di riporto in matrice argillosa).
Operando pertanto il calcolo sulla base del volume del cratere e della resistenza meccanica dei vari strati di terreni, ed applicando un metodo di calcolo computerizzato che tiene conto della geometria di scoppio, dell'energia dell'esplosivo e della risposta fluido-dinamica del terreno, si conseguono queste determinazioni: ipotizzando una carica di solo tritolo, i risultati di calcolo indicherebbero un peso di carica sull'ordine dei 275 kg. Tale risultato, riportato ad una miscela esplosiva costituita in parti uguali da tritolo, plastico alla pentrite e plastico al T4, fornisce un peso di carico di circa 250 kg.
I consulenti hanno poi rilevato che per l'attentato fu utilizzato un furgone Fiat Fiorino targato FI/H90593 di color bianco...Sono stati rinvenuti infatti i resti della targa del veicolo e quello del numero di matricola del motore nei pressi dell'epicentro dell'esplosione.
Al fine di verificare la dinamica dell'esplosione e determinare la posizione della carica esplosiva all'interno dell'automezzo è stata effettuata la ricostruzione del veicolo, posizionando e fissando i frammenti raccolti su un telaio in tondinio metallico riproducente in scala 1:1 dimensioni e forma del Fiat Fiorino...La parte anteriore del veicolo è stata parzialmente ricostruita essendo stati rinvenuti ed identificati frammenti appartenenti al vano motore (testata, frizione, cambio, radiatore), all'avantreno, ai due cerchi-ruota, allo sportello anteriore sx, al cofano-motore. Dalla documentazione fotografica allegata è possibile notare chiaramente la completa "assenza" di parti metalliche del vano posteriore del Fiorino: gli unici frammenti rinvenuti attribuibili a tale parte dell'auto appartengono ad entrambe le sospensioni posteriori ed ai cerchi-ruota...Alla luce dei risultati ottenuti è da ritenere che la carica esplosiva utilizzata nell'attentato dinamitardo di via dei Georgofili fosse allocata nel vano-carico posteriore del Fiorino come risulta dalla distribuzione dei frammenti delle varie parti del veicolo; a conferma di ciò si aggiunge la minuta frammentazione della carrozzeria e la posizione delle parti meccaniche pesanti come il motore e l'avantreno, rinvenute a circa 30 metri di distanza dal cratere.
1.1.3 I consulenti hanno anche collocato nella giusta evidenza talune analogie con i mezzi e le tecniche di attentato impiegati in recenti fatti di strage, analogie che non abbisognano di particolari commenti:
- nella strage consumata in Palermo-Capaci il 23.5.1992, nella quale furono uccisi il Giudice Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta, fu fatto uso di una miscela esplosiva costituita da tritolo (prevalentemente), T4, e da "poco esplosivo per usi civili (probabilmente della categoria dei gelatinati)...con identificazione su di un unico reperto anche della specie esplosiva pentrite";
- nella strage consumata in Palermo il 19.7.1992, nella quale fu ucciso, con la scorta, il magistrato Paolo Borsellino, fu impiegata una carica di circa 100 kg. nella quale "erano presenti in prevalenza pentrite e T4...ma anche tritolo ed una minore quantità di esplosivo per usi civili (probabilmente gelatinato)". È fatto notorio che nella strage di via D'Amelio fu utilizzata un'autobomba.

1.2 Sono già a questo punto consentite alcune preliminari ed interlocutorie conclusioni: la semplice evidenza dei danni alle persone ed al patrimonio artistico cagionati dall'esplosione, visti in rapporto ai mezzi ed alle metodiche impiegati dagli attentatori, non lasciano dubbi né sulla effettiva potenzialità offensiva dell'ordigno micidiale collocato nel cuore di una delle principali città d'arte d'Italia e del Mondo, né sulla valenza terroristica ed eversiva del grave attentato stragista.
Correlativamente, le indagini intese a verificare se per ipotesi l'obiettivo dell'autobomba potesse essere individuabile in una persona fisica hanno portato ad escludere, in radice, l'ipotesi stessa.
Pertanto risulta evidente, sulla fase della oggettiva constatazione della devastazione di una "frazione" del centro storico ed abitativo della città, e degli edifici monumentali ed artistici ivi esistenti - con particolare riguardo alla Galleria degli Uffizi universalmente riconosciuta come il più prestigioso e noto dei musei del Mondo -, come la localizzazione dell'azione stragista sia stata elettivamente individuata nel centro storico della città di Firenze, anche per l'inestimabile patrimonio artistico ivi esistente, e per la conseguente rappresentatività convergente dell'obiettivo stragista.

1.3 La strage dei Georgofili, sia come fatto "storico" sia come oggetto delle indagini preliminari condotte, si colloca centralmente rispetto ad altri gravissimi episodi di attentati commessi nel territorio continentale del Paese dal 14.5 al 28.7.1993.
Occorre sin da ora collocare nella giusta evidenza i dati obiettivi che hanno caratterizzato questi ulteriori fatti di strage, così da poterne trarre i profili di stretta connessione ai quali dovrà farsi riferimento, per tutte le implicazioni conseguenti, nel prosieguo della relazione.
1.3.1 Alle 21,40 ca. del 14.5.1993, in Roma, sulla via Ruggero Fauro, in prossimità dell'incrocio con via Boccioni, si verificava una forte esplosione per effetto della quale si verificavano i seguenti eventi: ferimento di 21 persone (ricoverate in vari ospedali della città) e di numerose altre (medicate sul posto da personale medico intervenuto per i soccorsi); danneggiamento di numerosi veicoli, in transito o in sosta; danneggiamento delle strutture murarie di numerosi edifici.
L'approfondimento investigativo, correlato ad accertamenti tecnici disposti dal Pubblico Ministero, assicurava decisive acquisizioni:
- il destinatario dell'attentato è da identificarsi nella persona del giornalista Maurizio Costanzo;
- stima della misura di 250 m. ca. del raggio lesivo e dannoso dell'ordigno in relazione alle sole schegge primarie; stima nella misura di 25 m. ca. del raggio letale per l'attinzione di schegge;
- utilizzo di un veicolo - quale autobomba - da identificarsi nell'auto Fiat Uno tg. Roma M.12957, proveniente da un furto commesso tra l'11 ed il 12.5.1993;
- impiego di una carica - posizionata nel bagagliaio della Fiat Uno - comprendente le specie esplosive tritolo, T4, pentrite, esplosivo da mina gelatinizzato ad elevato contenuto di nitrogliceroglicole (NG + EDGN), di peso valutabile tra i 100 ed i 120 chilogrammi.
Più specificamente, i consulenti del Pubblico Ministero in quella sede individuavano la presenza di sette componenti esplosivi: 1) nitroglicerina (NG); 2) etilenglicoledinitrato (EDGN); 3) isomeri di dinitrotoluene (DNT); 4) ammonio nitrato (AN); 5) 2,4,6 trinitrotoluene (TNT); 6) T4; 7) pentrite.
1.3.2 Alle ore 23,14 del 27.7.1993, nella via Palestro di Milano, si verificava una violenta esplosione che cagionava i seguenti eventi: la morte di cinque persone; il ferimento di almeno altre dieci; danni ingenti ad automezzi nonché a vari edifici.
Anche in questo caso l'approfondimento investigativo, che ha comportato anche l'espletamento di una consulenza esplosivistica, ha assicurato alcune risultanze e precisamente:
- grave danneggiamento, in particolare, di un edificio denominato Padiglione di Arte Contemporanea (P.A.C.). In particolare l'autobomba era stata parcheggiata tra i numeri civici 12 e 14 (distanti tra loro circa 50 metri) di via Palestro. Al Padiglione di Arte Contemporanea l'accesso è assicurato tramite l'ingresso corrispondente al n. 14, ed il muro perimetrale dell'edificio termina praticamente all'altezza del civico n. 12. Al successivo civico n. 16 corrisponde l'indirizzo della Galleria di Arte Moderna. L'area cittadina nella quale il fatto si è verificato non registra la presenza di altri edifici di interesse artistico o culturale in senso lato;
- utilizzo come autobomba di una Fiat Uno rubata in Milano tra il 23 e 24.7.1993;
- posizionamento della carica nel bagagliaio della vettura (circostanza questa assolutamente pacifica in virtù delle dichiarazioni rese dalle persone che hanno avuto la possibilità di osservare l'interno dell'autobomba prima che si verificasse la esplosione);
- utilizzo di una carica esplosiva costituita da esplosivo da mina gelatinizzato ad elevato contenuto di nitrogliceroglicole (NG + EDGN), tritolo, T4 e pentrite, vale a dire, in termini di "componenti esplosivi": 1) nitroglicerina (NG); 2) etilenglicoledinitrato (EGDN); 3) isomeri di dinitrotoluene (DNT); 4) ammonio nitrato (AN); 5) 2,4,6 trinitrotoluene (TNT); 6) T4 (RDX); 7) pentrite;
- stima quantitativa della carica in circa 90/100 chilogrammi.
1.3.3 Rispettivamente alle ore 23,58 del 27.7 ed alle ore 00,02 ca. del 28.7.1993, in Roma nella Piazza San Giovanni in Laterano ed ancora in Roma alla Chiesa di San Giorgio al Velabro, si verificavano due esplosioni determinate da due autobomba: la prima esplosione cagionava, tra l'altro, i seguenti eventi: gravi danni alle strutture murarie della Basilica di San Giovanni in Laterano e del Palazzo Lateranense; danni più o meno ingenti ai veicoli in sosta o in transito nelle vicinanze. La seconda esplosione cagionava, tra l'altro: danni alle strutture murarie della Chiesa di San Giorgio al Velabro ed agli edifici limitrofi; danni a numerosi veicoli in sosta nelle vicinanze.
Gli approfondimenti investigativi, che hanno ricompreso anche l'espletamento di una consulenza esplosivistica, hanno assicurato le seguenti risultanze:
per l'attentato di Piazza San Giovanni:
- impiego come autobomba della Fiat Uno tg. Roma 8A6003, oggetto di furto commesso in Roma tra le 21 ca. e le 23 ca. del 26.7.1993;
- posizionamento della carica nella parte posteriore del veicolo;
per l'attentato alla Chiesa di San Giorgio al Velabro:
- impiego come autobomba della Fiat Uno tg. Roma 94909Y, rubata in Roma, fra le 20,30 del 26.7.1993 e le 13,30 del 27.7.1993;
- posizionamento della carica nella parte posteriore del veicolo;
per entrambi gli attentati:
- utilizzo di una carica esplosiva da esplosivo da mina gelatinizzato ad elevato contenuto di nitrogliceroglicole (NG + EGDN), tritolo, T4 e pentrite, vale a dire, in termini di "componenti esplosivi": 1) nitroglicerina (NG); 2) etilenglicoledinitrato (EGDN); 3) isomeri di dinitrotoluene (DNT); 4) 2, 4, 6 trinitrotoluene (TNT); 5) T4 (RDX); 6) pentrite (PETN);
- stima quantitativa della carica, per ciascuno dei due episodi, tra i 100 ed i 120 chilogrammi.

1.4 L'analitica rassegna di elementi e dati fin qui svolta è funzionale, e già di per sé sufficiente, alla dimostrazione che i fatti di strage verificatisi nel Paese dal 14 maggio al 28 luglio 1993 devono essere ricondotti ad un "soggetto" ideatore, programmatore ed esecutore "unitario".
Ed infatti:
sotto il profilo dei mezzi usati:
1. in tutti gli episodi è stata applicata la tecnica dell'autobomba;
2. in tutti gli episodi è stato fatto uso di una miscela esplosiva, costituita da numerose specie esplodenti e puntualmente identificata dai consulenti, con carattere di identità, in relazione a ciascun fatto: tritolo, T4, gelatinato da cava;
3. in tutti gli episodi è stato fatto uso di veicoli rubati a brevissima distanza di tempo dal fatto;
4. in quattro episodi su cinque è stato fatto uso di Fiat Uno; nel solo episodio del 27.5 è stato fatto uso di un veicolo furgonato, e la spiegazione di ciò (con alta verosimiglianza) si trae facilmente da quanto segnalato al successivo punto 6.;
5. in tutti gli episodi la carica esplosiva è stata posizionata nella parte posteriore del veicolo e nell'episodio del 14.5. (Roma) ed in quello del 27.7 (Milano - via Palestro) con certezza nel vano bagagliaio;
6. in tutti gli episodi è stato impiegato un rilevante quantitativo di miscela esplosiva, apprezzabile in 100 e più chilogrammi (la stima decorre dai 90-100 kg per l'episodio di via Palestro, ai 100-200 kg per gli episodi di via Fauro, San Giovanni in Laterano, San Giorgio al Velabro). La quantità di esplosivo impiegata in via dei Georgofili (stimata in 250 kg) è sostanzialmente il doppio di quella utilizzata negli altri episodi.
Il quantitativo impiegato nei cinque fatti di strage può essere, dunque, stimato tra i 640 kg ed i 710 kg;
sotto il profilo delle altre connotazioni obiettive dei fatti:
7. in quattro casi su cinque la strage è stata realizzata tra un'ora prima ed un'ora dopo la mezzanotte. Anche nel quinto caso (Roma - via Fauro) la strage è stata commessa, comunque, in orario notturno;
8. per tre volte i fatti di strage sono stati commessi a Roma;
9. tre fatti di strage (uno commesso in Milano e due in Roma) sono stati commessi nella stessa notte (tra il 27.7 ed il 28.7), a distanza di meno di un'ora tra il primo e l'ultimo;
sotto il profilo delle connotazioni di ordine generale e finalistico, per dati obiettivi:
10. i cinque episodi di strage hanno in comune "il territorio", rappresentato dal territorio continentale dello Stato, ed "il tempo", rappresentato dal trimestre maggio-luglio del 1993: affermazione questa che non è tautologica se si pensa che - nel corso dell'anno 1993 - né prima né dopo il trimestre in questione, così come in nessun altro luogo del territorio continentale dello Stato anche negli anni precedenti oltre che in quello successivo, si sono verificati (è fatto notorio) fatti di strage commessi con modalità analoghe a quelle qui esaminate. In altre parole, i cinque fatti di strage sono concentrati nel tempo e nello spazio;
11. in quattro dei cinque episodi di strage sono chiaramente riconoscibili anche obiettivi secondari rispetto a quello tipicamente tutelato dalla norma penale di riferimento, nel senso che gli autori delle stragi hanno coniugato alla finalità tipica di uccidere quella di arrecare distruzione su obiettivi selezionali e - in un'ottica di ricostruzione che i fatti impongono - seriali: in due casi edifici destinati alla conservazione ed alla esposizione delle opere d'arte, edifici che quindi concretizzano la dimensione artistica e quella storica dello specifico contesto geografico-sociale; in altri due casi edifici che all'intriseco ruolo di luoghi di culto per la religione cristiano-cattolica uniscono un irripetibile rilievo architettonico e, nuovamente, storico-artistico.

2. La riferibilità delle stragi e della loro strategia all'associazione mafiosa "Cosa Nostra"
Per ragioni di carattere obiettivo già da questi dati iniziali evidente appare che il "soggetto unitario", titolare della ideazione e della esecuzione del piano stragista manifestatosi anche in via dei Georgofili, non può che identificarsi in un'organizzazione criminale capace di formulare una strategia, in vista di peculiari e non secondarie finalità, di individuare il fatto di strage come strumento proporzionato alla strategia con una capacità organizzativa, in termini di mezzi materiali e personali, idonea a far fronte alle esigenze dettate - al di là di tutto - dalla gestione nel breve periodo, o addirittura in un ristrettissimo contesto temporale, di molteplici azioni criminose anche in città diverse.
Orbene, la individuazione dell'organizzazione criminale in quella mafiosa per antonomasia, denominta "Cosa Nostra", discende da molteplici elementi.
Prima però di passarli in rassegna è necessario nuovamente sottolineare, per l'indubbio significato che il dato riveste, la stretta analogia tra la composizione della miscela esplosiva utilizzata per "confezionare" l'auto-bomba fatta esplodere il 19.7.1992 in via d'Amelio a Palermo e la composizione di tutte le cariche esplosive utilizzate per le stragi "continentali" del maggio-luglio 1993, analogia che si estende alla strage di Capaci del 23.5.1992. In relazione ad entrambi gli episodi criminosi le indagini svolte dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta hanno consentito di elevare contestazione per mezzo di misure cautelari, e poi di esercitare l'azione penale, nei confronti di numerosi esponenti di "Cosa Nostra".
2.1 Importanti acquisizioni concernono, in primo luogo, le opzioni di strategia in concreto adottate da "Cosa Nostra" in un determinato momento storico, e le decisioni operative ad essa conseguenti: tali decisioni hanno appunto individuato le "stragi" come strumento attuativo della strategia stessa.
2.1.1 Circa la causale di questa strategia occorre rammentare che con d.l. 8.6.1992 n. 306 com. v. legge 7.8.1992 n. 356 è stato introdotto il co. 2 dell'art. 41 bis dell'Ord.to penitenziario, norma questa la cui applicazione ha comportato severe restrizioni in ordine alle facoltà di alcune categorie di detenuti, ed in particolare di quelli accusati di far parte di organizzazioni criminali "di stampo mafioso", di intrattenere relazioni con l'esterno (e quindi, direttamente o indirettamente, con l'organizzazione criminale di riferimento) e, in larga misura, con altri detenuti, e segnatamente con quelli accusati di far parte a loro volta di organizzazioni criminali. Tale disposizione, nei suoi effetti pratici, ha fornito un supporto pressoché insostituibile alla concreta attuazione della normativa premiale introdotta con il d.l. n.152/1991, sotto il profilo che sono venute nella realtà definendosi una serie di nuove situazioni tutte funzionali a nuove collaborazioni processuali: lesione del prestigio dei capi dell'organizzazione e, al contempo, dell'organizzazione medesima; pregiudizio dei parametri che garantiscono alle organizzazioni criminali il mantenimento della struttura gerarchica e decisionale (inevitabile portato della impossibilità di mantenere costanti rapporti da e con i "capi" dell'organizzazione detenuti); isolamento materiale e soprattutto psicologico dei detenuti.
Un collaboratore di giustizia in dichiarazioni rese al pubblico ministero di Roma in data 11.8.1993, dopo aver riferito che nel settembre del 1992, in occasione di una evasione dall'Asinare al carcere di Trani, fu messo al corrente da altri detenuti di un piano di attentati su larga scala, ha testualmente affermato: " … si doveva far casino in Sardegna, dove si trovava la sezione Fornelli, ed in Toscana, perché c'era Pianosa … si voleva fare capire allo Stato che quel 41 bis non ci andava bene. Il … disse che se il 20 luglio del '93 non fosse decaduto il 41 bis, sarebbero successi grossi casini, ci sarebbero stati degli attentati. … A noi tutti fu notificato il 41 bis in data 20 luglio del '92, e su quei documenti notificati a tutti era riportata anche la data di decorrenza, quella di un anno. … Il 41 bis ci imponeva di avere in cella solo pochissimi indumenti, specificamente indicati … non potevamo tenere in cella la macchinetta del caffè, né cucinare, non potevamo acquistare cibi crudi, la posta era censurata, non potevamo avere corrispondenza con pregiudicati, e quindi se i nostri familiari, gli unici con i quali potevamo averla, erano pregiudicati, neppure con loro; non potevamo aver corrispondenza con altre carceri, potevamo avere solo due ore d'aria al giorno (prima ne avevamo 4 di ore d'aria)."
Nelle informazioni rese in data 15.11.1994 la stessa persona ha ulteriormente chiarito: "Compiere azioni in Sardegna ed in Toscana, in relazione ai due carceri in cui viene applicato il 41 bis, rispettivamente all'Asinara ed a Pianosa, voleva essere manifestazione della volontà di indurre lo Stato a fare marcia indietro del 41 bis; come ho già detto, questa disposizione si era rivelata insopportabile per i gruppi criminali non solo per il regime carcerario in sé, ma soprattutto perché incide negativamente sulla possibilità di controllo dei detenuti da parte dei gruppi criminali, e da ciò la concreta possibilità di un isolamento del singolo detenuto e quindi una propensione per scelte processuali inaccettabili: mi riferisco cioè alla collaborazione con l'autorità giudiziaria."
A dimostrazione della correttezza di queste considerazioni, con particolare riferimento all'organizzazione criminale "Cosa Nostra", un altro collaboratore di giustizia, nell'interrogatorio del 16.2.1994 al PM di Caltanissetta, ha riferito: "… posso io stesso riferire di avere personalmente sentito Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Salvatore Biondino e Raffaele Ganci discutere proprio del gravissimo pericolo che la diffusione del pentitismo costituiva per "Cosa Nostra". Per i quadri dirigenti di "Cosa Nostra" e quindi proprio per le persone che ho appena indicato il programma da attuare al più presto consisteva nel realizzare il massimo screditamento possibile dei collaboratori di giustizia e, al contempo, nel disincentivare il pentitismo cercando di ottenere la eliminazione della normativa favorevole a questo fenomeno. Un altro strumento per evitare il nascere di nuove collaborazioni era visto nella eliminazione delle norme che prevedono il regime penitenziario dell'art. 41 bis. l'isolamento rigido e le condizioni di vita dure che questo regime comporta erano visti da Riina e dagli altri come un possibile strumento per far sorgere nuove vocazioni verso il pentitismo e quindi anche per questa ragione andavano combattuti."
Il collaboratore specificava ancora che in epoca successiva alle stragi del 1992 (cioè agli attentati Falcone e Borsellino) e prima della sua costituzione ai CC. (avvenuta nel luglio '93) e in periodo antecedente alle stragi del '93, presenziò ad una conversazione del Riina con Ganci e Biondino (entrambi esponenti di prima grandezza di "Cosa Nostra"), e poi, dopo l'arresto di Riina, ad altre conversazioni del Provenzano con Ganci (l'ultima del maggio '93 dopo l'attentato di via Fauro a Roma, ma prima di quello di Firenze), in cui si affermava l'esistenza di contatti dell'organizzazione con uomini politici per indurli ad orientare la legislazione italiana nei sensi sopra indicati.
Sviluppava poi l'argomento nelle dichiarazioni rese in data 8.3.1994 precisando: "Riina sosteneva infatti che il male peggiore per "Cosa Nostra" era il pentitismo e che solo quello era ciò che poneva in pericolo l'organizzazione. Riina diceva che si sarebbe giocato anche i denti, il che vuol dire una cosa preziosa, e cioè che avrebbe fatto di tutto per fare annullare la legge sui pentiti ed eliminare l'art. 41 bis che, costringendo all'isolamento i mafiosi, poteva determinare nuovi pentimenti."
Il medesimo collaboratore, in relazione alle conversazioni del maggio '93, riferiva che Provenzano voleva continuare la strategia di Riina (arrestato il 15.1.1993) contro i pentiti, affermando che "le autobombe iniziate a Capaci e poi proseguite con via d'Amelio, Roma, Firenze e Milano, sono una strategia continua, una lotta contro i pentiti".
Va notato che non si tratta di una valutazione o di un'opinione, ma di una categorica affermazione di conoscenza e tale carattere appare ancor più evidente dal confronto col tono deduttivo, seppur deciso, delle frasi immediatamente successive; in queste ultime infatti il collaboratore non parla più della strategia e della matrice mafiosa, bensì degli obiettivi effettivamente attinti - per escludere che questi siano stati autonomamente scelti da "Cosa Nostra" ("… che non ha la mente fina per mettere un'autobomba come quella di Firenze") - esprimendo invece la convinzione che si trattasse di "obiettivi suggeriti" e ribadiva poi che la decisione di compiere gli attentati era stata sicuramente maturata in proprio da "Cosa Nostra", aggiungendo, circa l'epoca, che essa era di sicuro in atto dopo l'arresto di Riina, ed era stata presa dallo stesso Riina, presumibilmente prima del suo aspetto.
Le dichiarazioni del collaboratore sulle matrici degli attentati sono riscontrate o ulteriormente specificate da altro sperimentato collaboratore, che però vede i fatti da un livello corrispondente al suo diverso ed inferiore rango e comunque più vicino agli aspetti esecutivi (questi era stato iniziato all'organizzazione circa un anno prima dell'arresto e stava per divenire "uomo d'onore").
Nell'interrogatorio reso al Pubblico Ministero di Roma in data 8.4.1994, costui ha premesso che già nel 1991, in una riunione voluta dal Riina, era stato stabilito "di intraprendere un confronto duro con lo Stato, mettendo in atto una serie di omicidi e di attentati anche fuori dell'isola", con la significativa precisazione che questi "avrebbero dovuto avere le caratteristiche proprie delle azioni terroristiche". Lo scopo degli attentati doveva essere sempre quello di ottenere la cessazione del regime carcerario introdotto dall'art.41-bis.
Questa prospettiva di azioni di puro stampo terroristico deliberate dai vertici di "Cosa Nostra", da interpretarsi come la risultante operativa di una sorta di guerra totale allo Stato - guerra totale in cui andava appunto ad iscriversi anche la strategia volta ad imporre la neutralizzazione delle scelte legislative in tema di criminalità organizzata -, è stata ben illustrata da un altro collaboratore nelle dichiarazioni rese nell'interrogatorio del 3.12.1993: "… agli inizi del 1993, e comunque abbastanza tempo dopo le stragi di Capaci e di via d'Amelio, ho assistito a varie conversazioni tra il Bagarella, il Brusca ed il Gioé, in cui si diceva di dare una lezione ai politici, colpendo in qualche modo i loro interessi economici in qualsiasi zona d'Italia, anche fuori dalla Sicilia. Non venivano fatti nomi specifici, ma si faceva l'esempio che se un politico avesse avuto una catena di alberghi a Rimini, si poteva fare trovare sulla spiaggia un grosso quantitativo di siringhe sporche di sangue infetto, per rovinare l'intera stagione turistica. Del resto, a quel punto, l'atteggiamento del Brusca e soprattutto del Bagarella era ormai quello di chi è in lotta aperta con tutti, e non ha più niente da aspettarsi o da sperare …". Queste ultime parole del collaboratore vanno lette tenendo conto, tra l'altro, che il "decreto-Martelli" dell'8.6.1992 era stato ritualmente convertito in legge nell'agosto '92, con il che l'applicazione concreta e generalizzata dal "41 bis" era divenuta fatto compiuto.
Interrogato nuovamente in data 18.4.1994, il collaboratore ha confermato tali circostanze, aggiungendo significativamente: "Nel carcere di … dove sono stato associato il (data successiva alle stragi del 1993) ho avuto modo di parlare con … Parlando di tutto quello che è successo in questi ultimi due anni … mi ha detto che da Palermo ultimamente arrivavano notizie in qualche modo rassicuranti, nel senso che la situazione si starebbe progressivamente sistemando fino a diventare del tutto accettabile a partire dal 1995. Per situazione che va a sistemarsi … ha fatto in particolare riferimento alla situazione carceraria, e mi ha spiegato che si sarebbe allentata la pressione sui detenuti … che sono in carcere per il 416 bis … Peraltro … ha manifestato con me l'opinione che i palermitani, provocando tutto quello che è successo in questi ultimi tempi, avevano a suo giudizio "esagerato" e ricordo bene che ha adoperato queste parole "volevano sconfiggere lo Stato? si erano messi in testa questo?" Poiché io ho detto a … che non mi pareva fossero tante le ragioni per pensare ad un miglioramento della situazione, in particolare per gli effetti del fenomeno dei collaboratori di giustizia, egli mi ha detto che ci vuole ben altro per distruggere "Cosa Nostra", che "Cosa Nostra" ha sempre conosciuto momenti difficili ed infine che si era già pensato ad un sistema per neutralizzare la collaborazione processuale …".
È così, dunque, ampiamente illuminata la causale della strategia da "Cosa Nostra" in relazione ad un piano di azioni del massimo grado criminale da compiere, a valle della introduzione della normativa premiale e del "41 bis", fuori del territorio siciliano. Due considerazioni riassuntive integrano, a ben vedere, la chiave di lettura più adeguata delle circostanze riferite dai collaboratori di giustizia: la ferma determinazione dei vertici di "Cosa Nostra" di indurre lo Stato, a qualsiasi prezzo, a fare marcia indietro sulle scelte di politica criminale del biennio 1991-92; la scelta di sostenere questa decisione con il compimento di azioni di marca terroristica il cui teatro sarebbe stato il territorio continentale dello Stato, ed in particolare quelle regioni - tra le quali la Toscana - nel cui territorio si trovano gli istituti carcerari nei quali trova pratica applicazione l'art. 41 bis dell'Ord.to penitenziario.
Quest'ultimo profilo trova un ulteriore riscontro nelle dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia che si è così espresso: "Mi trovavo a Rebibbia quando la televisione dette le notizie dell'attentato di via Fauro (quello contro il giornalista Maurizio Costanzo che aveva commentato con entusiasmo l'arresto di Riina, come capo indiscusso di Cosa Nostra, avvenuto il 15.1.1993). Io ho solo potuto interpretare il fatto sulla base delle mie opinioni non disponendo di alcuna conoscenza in proposito al fatto stesso. Ho inteso l'attentato di via Fauro come una dimostrazione di forza di "Cosa Nostra", dimostrazione in particolare destinata ad esser raccolta come messaggio dai detenuti ed in particolare da quelli sottoposti al regime del 41 bis. In sostanza questo messaggio doveva servire perché questi detenuti non si sentissero abbandonati e quindi non fossero presi dall'idea di passare dalla parte dei collaboratori di giustizia. È la stessa considerazione che ho fatto quando ho saputo della strage di Firenze ed ho anche considerato che agendo su Firenze "Cosa Nostra" si era spostata ancora più a nord ed anche meno distante da Pianosa, luogo per l'appunto dove ci sono molti mafiosi assoggettati al 41 bis."
2.1.2 La concretizzazione della strategia sul territorio toscano ed in particolare nei confronti dei beni di interesse storico-artistico è puntualmente dimostrata da altri atti di indagine.
Una persona, non appartenente a Cosa Nostra, ma che aveva rapporti con un alto esponente della stessa per ragioni che ai nostri fini non interessa esporre e le cui affermazioni sono state riscontrate, ha affermato:
"In occasione di questo mio incontro con Gioé, nel corso della giornata il discorso non si svolse in un unico contesto: si parlò prima di pranzo e poi si andò a mangiare assieme: poi lui si assentò per un pò lasciandomi al distributore (Gioé era effettivamente titolare di un distributore in Altofonte), poi ci recammo insieme in una casa vicina al distributore. Fu durante il pranzo che Gioé esternò preoccupazione e rabbia dovute al comportamento dello Stato, in particolare per la pressione che veniva esercitata sui detenuti che erano stati concentrati in carceri speciali e fece riferimento al carcere di Pianosa ed al trattamento disumano che lì subivano ed all'isolamento cui erano sottoposti dicendo, a questo proposito, che erano come tralci tagliati dalla vite. Stando ai miei ricordi questo incontro si verificò tra la strage di Capaci e la strage che costò la vita al dr.Borsellino. Quando poi eravamo assieme nella casa vicina al distributore, Gioé, con atteggiamento mutato rispetto a quello che aveva avuto fino ad allora (tanto che pensai che mentre mi aveva lasciato al distributore avesse parlato con qualcuno) disse, assumendo un tono di distacco da me, una frase come questa: "COSA NE PENSERESTE SE UNA MATTINA VI SVEGLIATE E NON TROVATE PIU' LA TORRE DI PISA?" Ricordo di avergli detto che se fosse successa una cosa di questo genere sarebbe stata la morte di una città, Pisa nella specie, in quanto per Pisa la Torre vuol dire turismo e quindi ricchezza. Gioé rispose alla mia osservazione dicendo che secondo il loro modo di vedere colpire un obiettivo rappresentato da una persona aveva un significato ed un effetto in definitiva limitati rispetto a quelli che avessero accompagnato obiettivi diversi come opere d'arte, le opere d'arte importanti in particolare. Per spiegare cosa io intesi nelle parole di Gioé, formulo la considerazione che feci allora dentro di me: una persona, per quanto importante, può essere sostituita; un'opera d'arte, persa una volta, è persa per tutti e per sempre."
Il retroterra della causale, come è stato ricostruito, dimostra che i fatti di strage del 1993 avevano sia la finalità di agevolare le attività ed i programmi generali dell'associazione mafiosa "Cosa Nostra" (rimuovere impedimenti e rischi al funzionamento interno ed alla sicurezza dell'organizzazione) sia la finalità di influire, con metodi ed azioni, qualificati dall'uso della violenza estrema, indiscriminatamente orientata, sulle decisioni e sugli orientamenti di politica criminale e giudiziaria riservati dalla Costituzione ai legittimi poteri dello Stato: da ciò discende che i fatti di strage sono avvenuti nell'ambito di una strategia terroristico-mafiosa.
2.1.3 Va ancora ricordato, con particolare riferimento agli attentati di Roma della notte fra il 26 ed il 27 luglio 1993 e che ebbero come obiettivi la Basilica di S. Giovanni in Laterano (che è la Cattedrale di Roma ed ha, come tale, uno speciale rapporto con il Papa, Vescovo di Roma) e la chiesa di S. Giorgio al Velabro, che il Sommo Pontefice, nel maggio del 1993, aveva compiuto un viaggio in Sicilia, pronunciando 18 discorsi. In taluni di questi e specialmente in quello tenuto nella Valle dei Templi ad Agrigento, il Papa aveva pronunciato parole di forte esacrazione nei confronti di chi aveva realizzato le stragi del 1992 nelle quali erano stati uccisi i giudici Falcone e Borsellino. Il pontefice aveva poi definito la mafia come "diavolo" e come "martiri" le persone uccise dalla mafia, senza distinguere fra cattolici e non cattolici.
Tutto ciò aveva prodotto una forte e positiva reazione nella società siciliana e, in particolare, aveva legittimato i c.d. "sacerdoti antimafia", quelli che, attraverso una capillare opera di apostolato in taluni dei territori più oppressi da "Cosa Nostra", cercavano di diffondere una cultura antimafia.
Le stragi che, poco tempo dopo, ebbero come obiettivi le due importanti chiese di Roma, vanno dunque lette anche nella strategia, sempre perseguita da Cosa Nostra, di mettere a tacere le voci - e quella del Pontefice era di straordinaria importanza - che si levavano a criticarne l'operato, ponendosi come stimolo ad un "risveglio civile" della popolazione siciliana.
Una tragica riprova di quanto ho detto la si avrà nel settembre del 1993 quando Cosa Nostra ucciderà il sacerdote Giuseppe Puglisi che nel territorio della sua parrocchia - nel quartiere Brancaccio di Palermo, caratterizzato da significative presenze mafiose - cercava di contrastare il potere della mafia, operando soprattutto per educare i giovani alla legalità.
2.1.4 Le indagini sulle stragi del 1993, ora condotte unitariamente dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, hanno individuato i mandanti e gli autori delle stragi in persone a capo o inserite organicamente nella struttura di Cosa Nostra: anche per tale profilo risulta dunque accertata la matrice mafiosa dei fatti e la strategia nell'ambito della quale furono commessi.

La versione integrale del n. 4/2011 sarà disponibile online nel mese di maggio 2012.